Skip to main content

Nei prossimi giorni il governo dovrà decidere se prorogare la sospensione delle espropriazioni immobiliari riguardanti l’abitazione principale del debitore. La questione è divisiva.

Le forme legislative della vicenda sono piuttosto note per gli addetti ai lavori. Il d.l. n.18 del 17 marzo 2020, all’art.54-ter che titola ‘Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa’, prevede che «Al  fine di contenere  gli  effetti  negativi  dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il  territorio  nazionale  è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di  entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore». Gli artt. 4, c.1, d.l. n.137 del 28 ottobre 2020 e 13, c.14, d.l. n.183 del 31 dicembre 2020, hanno esteso il termine di sospensione prima al 31 dicembre 2020 e poi al 30 giugno 2021, per un totale di 14 mesi.

La vicenda è giunta anche in Corte costituzionale a seguito di due ordinanze provenienti dai Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto e di Rovigo.

Indubbiamente la sospensione in esame produce evidenti limitazioni a diversi diritti fondamentali. A risentirne sono soprattutto, sotto diversi profili, il diritto d’iniziativa economica privata e il diritto di azione (ma ad esser stati chiamati in causa sono anche il principio di eguaglianza sostanziale, il diritto alla ragionevole durata del processo, il diritto alla proprietà privata, la tutela del risparmio). E tuttavia, nel necessario bilanciamento, vanno inserite ulteriori considerazioni.

Innanzitutto, il legame della misura di sospensione con la pandemia. L’art.54-ter pone in diretta relazione la sospensione con il fine del contenimento degli effetti negativi dell’epidemia.

La finalità perseguita dal legislatore è di primario rilievo. Se è vero come è vero che soprattutto nel periodo iniziale dell’emergenza l’abitazione è stato il vero castrum, il perno di ogni strategia di difesa nei confronti del virus, sarebbe stato alquanto contraddittorio esporre il debitore e la sua famiglia –ma anche la comunità circostante – ai problemi derivanti dalla perdita dell’abitazione. D’altronde, se così non fosse, non avrebbe avuto senso limitare la sospensione alle sole procedure aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore.

La sospensione, tuttavia, mira ad assicurare più ampiamente il diritto all’abitazione. Se esista un diritto fondamentale all’abitazione è, però, questione molto controversa. La Corte costituzionale non ha mai dato spazio al riconoscimento di un diritto alla casa o all’abitazione come diritto che attribuisca al conduttore pretese nei confronti del proprietario o del locatore (sent. 225/1978); essa ha bollato come illogica anche la tesi che voleva far discendere dall’art.47, c.2, Cost. un diritto all’abitazione (sent.252/1983). Eppure, essa ha riconosciuto il diritto all’abitazione come requisito essenziale caratterizzante la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione (sent.217/1988). Sempre nello stesso arco di tempo il Giudice delle leggi è giunto alla conclusione che il legislatore ha riconosciuto l’esistenza di «un diritto all’abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art.2 della Costituzione» (404/1988).

Insomma, per quanto controverso sia stato il suo riconoscimento, la Corte costituzionale è pervenuta all’individuazione di un diritto all’abitazione, fortemente ancorato sia nella dimensione sociale della Repubblica sia nella dimensione dei diritti umani. Prima facie, dunque, il bilanciamento compiuto dal legislatore non appare dunque irragionevole. Residuano tuttavia alcune perplessità sulla costituzionalità delle norme in esame, ben sintetizzate dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto. Per apprezzarle bisogna avere la pazienza di ragionare sulla sequenza normativa.

Il giudice siciliano, tra i diversi motivi che adduce a sostegno dei dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art.54-ter, osserva che l’esigenza abitativa del debitore è già adeguatamente assicurata da altre norme emergenziali, quali, in particolare, gli artt.103, c.6, d.l. 18/2020 e 13, c.13, d.l. 183/2020. Queste disposizioni, infatti, non consentono di procedere al rilascio coattivo dell’immobile, anche nel caso di espropriazione del bene per effetto di aggiudicazione e trasferimento del medesimo a terzi.

In realtà qui vi è qualcosa da aggiungere al ragionamento del giudice siciliano perché la successione cronologica delle disposizioni rende la vicenda più complessa. Difatti l’art.103, c.6 (entrato in vigore il 17 marzo 2020), dispone letteralmente: «L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020 (e poi fino al 1° settembre 2020 per effetto di una modifica apportata in sede di conversione)». Questa disposizione, certo non precisa quanto all’oggetto, è contenuta nello stesso atto normativo, che è poi stato emendato dalla legge di conversione n. 27/2020: in questa sede, nella fase di conversione, è stato aggiunto l’art.54-ter. Come se il Parlamento avesse ritenuto insufficiente la sola tutela fornita dall’art.103 e abbia così deciso di rafforzarla anticipandola, per così dire, alla fase della procedura immobiliare.

E, tuttavia, solo a dicembre 2020, con il d.l. 183/2020, la previsione contenuta nell’art.103 viene perfezionata. L’art. 13, c.13, prevede infatti che «La sospensione dell’esecuzione dei  provvedimenti  di  rilascio degli immobili, anche ad uso non  abitativo,  prevista  dall’articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n.18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n.27, è  prorogata  sino al 30 giugno 2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti  di rilascio conseguenti all’adozione, ai sensi dell’articolo 586,  comma 2, c.p.c., del decreto di  trasferimento  di  immobili  pignorati  ed abitati dal debitore e dai suoi familiari». È questa la disposizione presa in considerazione dal giudice siciliano.

È, quindi, a partire dall’entrata in vigore del d.l. 183/2020, il quale proroga gli effetti sospensivi disposti da entrambe le disposizioni –l’art.54-ter e l’art.103, c.6, del medesimo d.l. 18/2020-, che sembra esservi un eccesso di tutela all’abitazione del debitore. Questa, difatti, risulta già protetta dalla sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili adottati per mancato pagamento del canone e conseguenti all’adozione del decreto di trasferimento di immobili pignorati, sicché l’art.54-ter, che impedisce le espropriazioni immobiliari limitando così i diritti dei creditori, perde di razionalità.

In questa prospettiva appare corretta la decisione del Tribunale di Rovigo di non censurare l’art.54-ter quanto solo le disposizioni che ne hanno prorogato gli effetti.

Se la ricostruzione compiuta fosse corretta, un’ulteriore estensione della sospensione sarebbe difficile da giustificare. In questo caso il sacrificio richiesto ai proprietari diventerebbe consistente finendo per scaricare ulteriormente su di loro l’onere del contenimento della pandemia. E ciò sarebbe ben difficile da giustificare.